martedì 6 febbraio 2018

Ambrosia e Nettare. Qual'era la natura del Cibo e della Bevanda che agli Dèi dona Immortalità? Prima parte


Ambrosia, Cibo degli Dèi
di Nannai


Per gli antichi dèi di tutto il mondo, la morte non era sconosciuta, anzi era una delle cose che più temevano.
Come fosse possibile che degli esseri immortali, per definizione, come gli dèi, paventassero di morire non è comprensibile se si parte dal presupposto che uno dei loro principali attributi era proprio l’immortalità. Eppure, gli dèi antichi potevano morire. Diversi antichi miti, o meglio, diverse antiche leggende storiografiche (come preferisco definire i miti) ci parlano di dispute tra dei che continuavano finché non si arrivava alla sconfitta di uno di loro.
Lo sconfitto risultava spesso ferito altre volte la lotta poteva terminare con la sua morte. (Vedi mito di Osiride, di Mitra, di Dioniso smembrato dai Titani e altri ancora).
 Per chi pensa ad un dio come immortale  troverà di certo difficile pensare che  questo dio essendo immortale potesse morire. Il modo in cui possiamo superare questa nostra incomprensione sulla natura degli dèi va nel riconoscere che l’immortalità non era una delle loro caratteristiche, ma quella che abbiamo sempre creduto essere immortalità, in realtà si trattava solo della loro capacità di vivere un lungo, lunghissimo periodo di tempo, che poteva estendersi per alcune migliaia di anni. Tempo che agli occhi dei nostri antenati, che vivevano ancor meno di noi (contro i 70-80 anni della vita media odierni), era una vita lunghissima, immortale per l’appunto . Infatti, durante l’Età del Bronzo (tra il 3000 e il 1000 a.C.) il 50% della popolazione non sopravviveva ai 28 anni (vedi tabella 1).
Ma una cosa che spesso sfugge è che questi stessi dèi avevano il bisogno di nutrirsi, di bere, si abbandonavano all’ebbrezza e cosa ancor più sconcertante usavano un cibo, l’ambrosia, e una bevanda, il nettare, per curarsi, per sostenere la loro giovinezza e la loro immortalità. Senza ambrosia e nettare essi non potevano continuare ad essere.
Questo cibo e questa bevanda era a loro riservata. I mortali non potevano avvicinarvisi né ad essa né alla fonte della vita che si riteneva si trovasse ad Ovest nel  giardino delle Esperidi. Da lì veniva portata agli dèi da colombe.
L’ambrosia era, dunque, il cibo divino che aveva il potere di donare la giovinezza e l’immortalità e veniva descritto come “profumato e più dolce del miele.” Questo è in linea di massima  quello che si sa dell’ambrosia. Il significato stesso del nome ne descrive il suo potere. In greco antico μβροσί-α ,( μβροσί- ιη, , nella forma ionica) ha, infatti, il significato di senza (a- alfa privativo, con senso di negazione) morte ((“μ)βρότος (m)brotos) mortale” cfr col sscr. A-MRTAM = A-MARTAM -> immortale, incorruttibile) Quindi nel senso di immortale e dunque di “cibo o bevanda che rende immortali”. 
L’ambrosia era un cibo così proibito che chiunque cercasse di rubarlo o farne un uso improprio veniva aspramente punito.  Ne è un esempio ciò che successe a Tantalo (Od., XI, 582-592), figlio di Zeus e della titanessa Plouto. Sulla terra era re presso il popolo Frigio e su quello della Lidia, regnava sul monte Ida, sulla piana di Troia e sull’isola di Lesbo. Era invidiato da molti per la sua ricchezza immensa. Ed è da lui che nacque la  casata degli Atreidi. Secondo gli antichi racconti, essendo figlio di Zeus era benvenuto alla tavola delle divinità  nell’ Olimpo, e ascoltando le loro parole e nutrendosi come uno di loro divenne immortale. Ma commise l’errore di rubare l’ambrosia e il nettare, per donarlo al suo popolo e renderlo immortale, divulgando, inoltre, i divini segreti appresi presso gli dèi. Pindaro ci racconta la vicenda, con queste parole

Tantalo non era nuovo a questo tipo di provocazioni. Un giorno per contraccambiare l’ospitalità offerta dagli dèi li invitò tutti alla sua tavola nella città di Sipilo, riuscendo a compier un atto ancor più nefando. Osò, infatti, servire a tavola quanto di più caro aveva senza informare i suoi divini invitati, quasi come atto di sfida contro la lungimiranza e l’onniscienza divina.. Non tardarono i divini commensali a scoprire che il piatto  principale era Pelope, il figlio di Tantalo, tagliato a pezzi e fatto bollire. Di questo gli dèi si accorsero subito e rifiutarono di cibarsi di quel cibo respingendo con forza la nefandezza compiuta dal loro ospite, in quanto gli dèi olimpi avevano ripudiato il sacrificio umano già da tempo avendolo sostituito con sacrifici animali.
Solo Demetra, ancora sconvolta per il ratto da parte di Ade della figlia Persefone, distrattamente mangiò la carne di una spalla. Per queste e per altre offese, Tantalo fu imprigionato nel Tartaro, dove tormentato dalla fame e dalla sete, non poteva  né cibarsi, dai vicini alberi carichi di frutti, né abbeverarsi dell’acqua in cui era immerso perché ogni volta che cercava di avvicinarvisi entrambi si allontanavano immediatamente.

Omero descrive questi supplizi nel capitolo XI dell’Odissea, con queste parole:

Ma cos’era, dunque, quest’Ambrosia?
Il riferimento più antico si ritrova in Egitto dove su alcune statue del dio egizio Anubi si legge “Io sono morte, mangio ambrosia e bevo sangue”, lasciando, dunque, intendere che l’ambrosia sia un cibo .
Mentre, alcuni autori, come Bergk e Roscher seguiti poi da Gruppe  e altri, leggendo le fonti classiche, hanno cercato di spiegare che il termine di ambrosia fosse una delle prime forme per indicare il  miele selvatico. Ma contro questa interpretazione ci sono diverse riserve. Innanzitutto, il miele selvatico era  ben  noto fin dalla più remota antichità dai popoli indo-europei, di cui il popolo acheo-dorico faceva parte, ed ha i suoi nomi ben precisi. In greco miele si dice: μλι, (gen. μλιτος, τό) A.μέλιPhilox.3.17; gen. pl. “μελίτωνEmp.128.7 (nisi leg. μελιτν, cf. μελιτόν):—miele Od.20.69, etc.; “μ. χλωρόνIl.11.631, Od.10.234, Xenoph.38.1; “ξανθόνSimon.47; “παμφαέςA. Pers.612; “τμέλι τττικόνAr. Pax252, cf. Men.708; vari tipi , Thphr. Fr.190; dice esser fatto dalla palma (φονιξ), Hdt.1.193, cf.4.194;) in indoeuropeo si diceva “melit”, la cui radice la si ritrova anche nel lat. “mel”, e nell’aggettivo italiano mellifluo.  Lo stesso vale per i popoli non indo-europei del bacino del Mediterraneo.
L’Ambrosia, a differenza del miele, è roba
dell’immortalità, e non è  disponibile per tutti i mortali. Invece, il miele è liberamente  mangiato dai mortali. Viene caricato sulle navi  achee ed è usato dai guerrieri omerici come un normale cibo insieme al formaggio e al vino. Così come la cera d’api.
Quindi lontano dall’esser pensato come esclusivo degli dèi, il miele non veniva a loro offerto o anche solo associato ad essi in qualche modo né in Omero né in Esiodo. È qualcosa di concreto legato alla roba della vita, a  qualcosa di immortale. Ma cosa pensavano che fosse il giusto nutrimento degli dèi i primi greci? Dalle prime descrizioni che ci sono pervenute quello che si può , in linea generale, pensare per l’ambrosia  è che fosse una sostanza con un aspetto e il cui uso fa pensare ad un grasso liquefabile (midollo e grasso) con la possibilità di usare l’analoga linfa vegetale, l’olio d’oliva, come alternativa. Il termine usato per descrivere ciò che veniva offerto agli dèi era λειφα (unguento, olio, grasso, olio per ungere), λειφαρ (aleifar), "roba per ungere".
Quando Omero si riferisce all’ambrosia nell’Odissea ci dice con certezza in Odissea V 93 ss, e in Odissea V 199  che viene “mangiata” da un dio, mentre il nettare è bevuto.
Queste descrizioni generarono in età successive l’idea che l’ ambrosia fosse solida, e il nettare liquido; ma altre evidenti prove omeriche implicano che l’ambrosia fosse di natura fluida o fondente, e possiamo comprendere la consistenza che aveva solo pensandola come un grasso o un olio che può essere mangiato come noi “mangiamo” olio, zuppa o burro, o come faceva il principe Astyanax, privilegiato con una dieta ideale: “mangiava esclusivamente midollo e grasso
 L'ambrosia veniva usata da Hera come sostanza detergente sul proprio corpo (Il. XIV, 170
Il. XIV, 170
L’ambrosia venne usata dagli dei per ungere il corpo di  Sarpendonte dopo averlo lavato (Iliade XVI, 669f, 679f.) come fanno gli uomini quando si ungono con olio o grasso (λειφαρ) dopo aver lavato sé stessi o il corpo dei morti (Od. XIV, 44 f.).

Il. XVI, 669 f.

L'ambrosia venne usata anche da Thetis, facendo “gocciolare” il nettare nelle narici di Patroclo per mantenere la sua carne incorrotta e fresca, quando la αἰών (vita) ivi è stata uccisa .

 (Il. XIX. 26, 38  f )
Nell’Odissea, Polifemo dichiara, con soddisfazione, che il vino datogli da Odisseo è una goccia (“effluente” άπορρooς (che emana da) cfr Od. X, 524; //n 755) di nettare e ambrosia). Nell'Inno ad Apollo di Omero sembra essere liquido ma mangiato e l'Inno omerico ad Afrodite "suggerisce che era un nutrimento liquido” come fa anche Saffo (Fr. 51); mentre nell'Inno omerico a Demetra la dea nutre il fanciullo Demophon e lo fa crescere "non con mais (?) da mangiare o latte" preso attraverso le labbra ma "ungendolo" χρίεσκε con l'ambrosia, proprio come secondo il nostro precedente argomento ungendo con grasso o olio, si credeva che il liquido della vita venisse infuso attraverso la pelle. L'Ambrosia  emana un odore gradevole (Od. IV 445)
Proprio come fanno con il grasso (Il. VIII 549)

E con l'olio (Od. II 339)

Se dobbiamo pensare all'ambrosia come una divina controparte degli dei come ad λειφαρ (roba per ungere) posseduto dagli uomini, cioè grasso animale o  al suo equivalente olio d'oliva, potremmo chiederci allora "Ma i Greci omerici mangiavano olive o olio d'oliva?" Questo è stato negato per il fatto che lì non si fa riferimento ad una tale pratica. Ma l'argomento del silenzio è inconcludente. È difficile credere che le olive e l'olio d'oliva fossero possedute ma non assaggiate. Abbiamo una prova indiretta anche nel passo già visto dell’Odissea (Od. XI, 588 ff.). Per tormentare Tantalo , al di sopra della sua testa si trovavano
" alberi alti appesero il loro frutto, alberi di pere, melograni e meli con frutta luminosa e dolci alberi di fico e ulivi fioriti, che quando il vecchio allungò le mani per afferrarli, il vento le lanciava verso le nuvole ombrose.”
Da questo passo è chiaro che le olive erano uno dei frutti che Tantalo desiderava mangiare. Quindi era un frutto a disposizione degli umani e che mangiavano.
Anche quando Hera, dopo aver pulito la pelle con l’ambrosia, si unse con olio d’oliva ambrosiano (δανός : δανός 1 prob. from δεν, δύς  sweet, delicious, Il. 1 δα^νός, ή, όν; -  2 δα^νός , ή, όν, as epith. of oil, Il.14.172, cj. in h.Ven.63; expld. by Gramm. as cogn. with δύς, δομαι, νδάνω (q. v.),) "fragrante". Quindi anche qui, in questo passo, è ben evidente che l’ambrosia e l’olio d’oliva erano due sostanze grasse ben distinte ed entrambe potevano venir usate per ungere il corpo delle dee. E la linea ricorre anche nell'Inno omerico in onore di Afrodite.
Per i grammatici, gli scoliasti e i moderni studiosi δανός, come derivante da δύς, δομαι e dicono che dovrebbe venir aspirato e significa "dolce". Tuttavia avrebbe almeno lo stesso significato di dolce e se significasse " adatto a mangiare, commestibile" derivandolo da δω Come στεγανός  e κανός
  1. covering so as to keep out water, water-tight, waterproof, Xen., Anth.
2.generally, covering, enclosing, confining, of a net, Aesch.
  1. closely covered, λευκῆς χιόνος πτέρυγι στεγανός, of Polynices, represented as an eagle, covered by his white Argive shield (v. λεύκασπις), Soph.; of a building, roofed, Thuc.
2.metaph., τὸ οὐ στεγανόν leakiness, Plat.
  1. adv. -νῶς, confinedly, through a tube, Thuc.


Per il significato di "dolce", un significato che dovrebbe essere diffuso non c'è parallelo, o conferma, in Eschilo, che è precedente, e più "omerico" dei grammatici. Anzi,  δανός si presenta proprio in questo senso di "commestibile". Per lo storico era come potremmo aspettarci, il miglior olio d'oliva che fosse riservato per mangiare, mentre la seconda scelta era usata come unguento. Sarebbe quindi naturale dire che l'olio usato dalla dea come unguento era adatto ad esser mangiato, cioè era della migliore qualità.
Un'altra domanda che viene naturale chiedersi è: dove prendevano l'ambrosia gli dèi? Se la domanda venisse sollevata, la risposta più semplice sarebbe da qualche luogo inaccessibile ai comuni mortali. L’ambrosia fluiva o cresceva come una pianta con una linfa oleosa come l'oliva o la mirra. Omero non ci dice altro su di esso se non che il dio del fiume Simeo ( era il Dio fiume della Troade, nell'Anatolia nord-occidentale – nella Turchia moderna) ha fatto sorgere l'ambrosia ( νέτειλε - verb 3rd sg aor ind act) Per i cavalli di Hera per nutrirsi (νέμεσθαι - verb pres inf mp ) e che le colombe portavano l'ambrosia a Zeus per mezzo dei Πλαγκταί (πλάζω) (scogli erranti e scozzanti Od. XII.61; XXIII, 327) che fu la via di ritorno d’Odisseo dall'Oceano e dagli inferi. Quale immagine ci fosse nella mente di Omero è difficile da dire. I cavalli divini, potevano, come gli stessi dei, prendere parte all'ambrosia liquida o ancora potrebbe essere una pianta. Gli scrittori tardi hanno dato il nome a varie piante. Euripide pensò a χρναι μβρόσιαι, che significa forse "sorgenti di ambrosia", nella terra della sera ai confini del mondo (l’Estremo Occidente) "dai divani nuziali delle sale di Zeus dove la Terra divina, vivificante, aumenta la felicità per gli dei".  Εδαιμονία (prosperità, buona fortuna, opulenza,), reso "felicità", termine usato per l'abbondanza di cose buone. Gli "irreprensibili etiopi" di Omero, ai quali Zeus e gli altri dèi andarono a festeggiare, alcuni  di essi abitarono, dove sorge il sole e gli altri dove il sole tramonta, (cioè nella terra della sera), sul fiume Okeanos ai margini del mondo. Nel racconto di Erodoto sugli Etiopi, qualunque sia la sua fonte, gli "etiopi longevi" non solo avevano mai riempito la "tavola del Sole", essendo un prato pieno di carne bollita di tutti i tipi di bestie che gli abitanti avrebbero dovuto inviare dalla Terra, ma anche una fonte di olio a cui attribuivano le loro lunghe vite.
Rimane il nettare. Bergk, Roscher, Gruppe e altri studiosi hanno pensato che il nettare e l'ambrosia fossero in origine la stessa cosa, e cioè il miele. Ma sarebbe strano trovare due nomi per un concetto immaginario o una sostanza reale e, come abbiamo visto, questi due nomi sono usati da Omero per rappresentare cose diverse. Se la nostra linea di ricerca è corretta, il nettare dovrebbe essere l'equivalente divino dell'altro tipo di nutrimento che gli uomini ritenevano opportuno offrire agli dei - il vino. È. Le allusioni sopra implicano che era liquido. Come il vino è "mescolato" in un ((οἰνοχοεῖ)) recipiente  e viene versato come vino ((ονοχοε)) per gli dei banchettanti * e lo bevono e si impegnano a vicenda come fanno gli uomini con il vino. Il vino non mescolato è talvolta descritto come "rosso", ( ρυθρός), pere due volte nell’Iliade (Iliade XIX, 38; Od. V, 93)


 Si parla di νέκταρ ρυθρός. Quindi tutte le prove omeriche per l'ambrosia e il nettare sono soddisfatte. Senza la minima idea, quell'evidenza è confusa e appare contraddittoria, e secoli dopo, quando le concezioni originarie erano svanite nella credenza popolare, poteva benissimo portare a fraintendimenti. L'elogio di Polifemo per il meraviglioso vino offerto da Ulisse come una "goccia di nettare e ambrosia" non implica che entrambi fossero concepiti come vini, ma al massimo erano liquidi o potevano essere combinati in un liquido più piacevole da gustare.  Il riferimento di Sappho a una libagione di ambrosia in un matrimonio  κρατήρ  ονοχοσαι (un grosso vaso mescolatore ; una nave mescolatrice, esp. una grande ciotola, in cui il vino era mescolato con acqua, e da cui venivano riempite le coppe, Hom., ecc .; ονον δ κ κρητρος φυσσάμενοι δεπάεσσιν κχεον Il .; πίνοντες κρητρας bere ciotole di vino, id = Il .; κρητρα στήσασθαι λεύθερον per dare una ciotola di vino da bere in onore della liberazione, id = Il .; πιστέψασθαι ποτοο, v. πιστέφω.)  e oivoxofio'ca suggeriscono che si tratti di vino; tuttavia colpisce il fatto che la nave (-recipiente) utilizzata da Hermes non sia associata al vino (κύαθος κύω  Una coppa, per tirar su il vino dal κρατήρ, Xen., etc. ecc.) ma λπις , ιος , che in genere sembra avere il significato di fiaschetta di olio come quando in un'occasione simile: il matrimonio di Elena, lo Spartano la cameriera di Teocrito dice a loro che andrà all'albero di Elena a verserà libagione, con un 'gocciolamento di λειφαρ liquido da un  λπις d'argento.
 Altrove, Saffo dice: " Vieni, Cipriano, versiamo (Οινοχοεσα)  in  Κύλικες (calici da κύλιξ 1 κύω ) dorati il nettare mescolato per il banchetto ', cioè come il vino. Mentre gli altri riferimenti di Omero all'ambrosia come liquidi e l'iperbole di Polyphemos spiegano il suo riferimento all'ambrosia, il nettare e l'ambrosia delle linee di Esiodo "che gli dei stessi mangiano '" (Theog. 640)  e (del dio spergiurato) "non va mai vicino all'ambrosia e al nettare per mangiarlo ma "giace senza fiato e senza parole ..." 4 potrebbe suggerire che il nettare fosse " mangiato "piuttosto che" bevuto ", ma non è implicito più di quanto non sia implicito per l'acqua o il latte in espressioni come" pane e acqua, il cibo dei carcerati "o" loro mangeranno latte e miele tutti i loro giorni " Quando, tuttavia, l'idea del nettare era diventata vaga e le persone dipendevano da questi "fossili" in letteratura, la falsa deduzione poteva essere facilmente formulata. È anche possibile che, come le successive generazioni abbiano rappresentato l'ambrosia come olio arricchito con altri ingredienti, e che così pensavano che il nettare fosse vino arricchito con altri ingredienti, quella che era in effetti una bevanda familiare, κυκεών 1  ( da κυκάω).
. Tale κυκεών , in cui formaggio, orzo e miele sono mescolati con il vino, si dice che fosse 'bevuto' ( κπιον da κπίνω ) e veniva ancora chiamato 'cibo' στος grano) anche da Omero (Od. X, 234).
 Vi è conservato per noi un frammento di Alcman , νέκταρ  δμεναι (da δω "mangiare"), che il contesto avrebbe potuto mostrare potrebbe essere spiegato come le linee di Esiodo possono, ma che è impostato da Ateneo nel II secolo d.C. accanto alle linee inequivocabili di Anaxandrides (IV secolo aC).
 Era naturale che le due forme di divino nutrimento dovessero essere interpretate come cibo e bevanda, e da qui la transizione di significato in ognuno dei due termini, le tentazioni verso cui noi abbiamo visto è completa e lo schema di Omero è invertito.
Questo successivo scambio di funzioni ha alimentato l'idea che il nettare e l'ambrosia fossero in origine la stessa cosa, ma le prove dai testi omerici è molto coerente e vicina nel tempo a qualsiasi origine e mette in risalto le differenze, come abbiamo visto, tra le funzioni delle due sostanze così denominate. Quella differenza tra l'olio e l'ambrosia simile ad un grasso e il nettare simile al vino è mantenuta dagli Inni omerici e in effetti sembra generale. Così anche per Aristofane l'ambrosia viene "versata" 2 (κατασπένδει) eppure viene mangiata ( Σιτεσθαι Da σιτέομαι 1 στος
1.to take food, eat, Od., Hdt.
2.c. acc. to feed on, eat, Hdt.: metaph., ς. λπίδας Aesch.; τν σοφίαν Ar.


Φαγεν, da σθίω
1.to eat, Lat. edo (cf. δω), Hom., etc.; σθ. τινός to eat of a thing (partitive gen.), Xen.:—Pass., οκος σθίεται the house is eaten up, we are eaten out of house and home, Od.
2.metaph., πάντας πρ σθίει the fire devours all, Il.; σθ. αυτόν to vex oneself (like Homer's ν θυμν κατέδων), Ar.; σθ. τν χελύνην to bite the lip, id=Ar.


Λείχειν, da λείχω
1.to lick up, Hdt., Aesch., Ar.
2.irreg. part. perf., γλώσσηισι λελειχμότες playing with their tongues, Hes.),
mentre il vino viene descritto come "nettare-che gocciola" (Νέκταρος Σταγής).
Tornando al miele.  Il miele in Omero appare in relazione ai morti. 'Per tutti i morti' Odisseo 'versò un libazione (Χοήν  a drink-offering, un libagione ) prima con una miscela di miele (miele con Acqua o latte o vino, Μελικρήτ da μελίκρητον 1 κεράννυμι a drink of honey and milk offered to the powers below, Od.)), poi con vino dolce, e la terza volta con acqua cosparsa di bianca farina d'orzo »(Od. xi, 26 ss.).


Non si può essere sicuri di ciò che viene bruciato con il corpo sulla pira; ma è degno di nota che, con le carcasse degli animali disposte intorno ad esso, il corpo di Patroclo era coperto dalla testa ai piedi con il loro grasso, e con vasi di miele e  λειφαρ  (da λείφω)  erano appoggiati contro la bara prima di accendersi (Il. XXIII, 167 "). Allo stesso modo con Achille (Od. XXiV, 67 f.).
Dall’uso che veniva fatto si può intuire che il miele sembra essere stato un sostituto per il vino dove il vino era scomodo ad usarsi. Il vino era "miele-dolce" e il miele si mescolava al vino di un  κυκεών . Il vino avrebbe ostacolato il fuoco nel suo lavoro. È il vino e non il miele che Achille riversa tutta la notte, chiamando la Ψυχή di Patroclo, mentre il corpo brucia. È con il vino che il fuoco si spegne e, quando il fuoco non deve essere considerato, è il vino e non il miele che viene usato con  λειφαρ , messo con le ossa; e la bevanda che gli uomini pensavano propria degli dei e offerta loro con  λειφα non era miele ma vino).

Il nome μβρόσια   è espressivo dell'immortalità; νέκταρ   dovrebbe essere correlato a νέκυς 1 come νεκρός
I.un corpo morto, un corpo senza vita, Hom., Hdt., Soph., etc.:— in pl. Gli spiriti della morte, Lat. Manes, inferi, in Od., Il.
II.as adj. morte, Soph., Anth.
che significa dopo la morte o il corpo o l'anima Ψυχή, immortale.
Con νέκυς, tutte le altre parole greche che iniziano con VEK sono inconfondibilmente connesse. L'ambrosia è il grasso oleoso o untuoso e il nettare il liquido acquoso della vita.
Ed ancora ad ulteriore prova si trova nella vecchia credenza persiana il cibo dell'immortalità consisteva nella linfa del haoma celeste (come il succo della vite) e nel midollo del bue ucciso da Saoshyant.

 In seguito, il mitraismo insegnò che il dio verrà sulla terra e che i morti nasceranno dalle loro tombe e lui sacrificherà il toro divino e mescolando il suo grasso con il vino santo, offrirà ai giusti la coppa della vita eterna. Gli stessi elementi possono essere visti nel battesimo cristiano. Acqua e olio furono usati nelle prime forme del rito. Così come nel rito Goto-Gallico: "Santo Signore, Padre onnipotente, iniziatore dei santi, padre di tutta l'unzione e autore di un nuovo sacramento attraverso il tuo unico Figlio, nostro Signore Dio; Chi attraverso il ministero dell'acqua ... bestowest il tuo Sacro Spirito". 'Mentre ti toccano con il crisma dirai: "Ti ungo con l'unzione di santità, l'abito dell'immortalità, che il nostro Signore Gesù Cristo ha ricevuto per primo, donato dal Padre, affinché tu possa presentarlo intero e immutato prima del giudizio di Cristo e a maggio vivono per sempre. "
      continua.....

Fonti



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