venerdì 31 gennaio 2020

La Nascita della Regalità. Il fondamento dell'elitismo reale così come raccontato dai miti. Prima Parte.

di Nannai

Cos’è il mito?
“Il vero, il quale col volger degli anni
e col cangiare di lingue e costumi
ci pervenne ricoverto di falso.”


Fin dall'antichità, come pure oggi, i sovrani di tutto il mondo e di tutte le epoche hanno da sempre speso tante energie per sostenere, convincere e far approvare la loro diversa natura rispetto al popolo che li ha serviti e riveriti. E, a loro volta, il popolo li ha chiamati i "Sangue Blu" come a identificarne un aspetto visivo, fisico che li distingueva in effetti da loro. La loro pelle diafana mostrava nelle zone meno esposte al sole una caratteristica peculiare, cioè vene, particolarmente visibili, di colore blu, in particolare ai polsi e al collo. Un segno distintivo che potrebbe spiegarsi in diversi modi, dal fatto di una loro scarsa esposizione al sole o ad una loro particolare difficoltà a procedere in modo adeguato agli scambi gassosi e dunque una difficoltà a respirare l'ossigeno che permette la vita su questo pianeta e alle cellule di svolgere i normali processi fisiologici.
Un altro aspetto che li distingueva era la loro ossessione a mantenere la purezza di sangue attraverso matrimoni tra consanguinei, anche tra fratelli e sorelle. La loro ossessione di mantenere la purezza di sangue e quindi la purezza genetica lungo tutta la linea di discendenza era forse dovuta alla loro paura di perdere alcune caratteristiche che solo loro possedevano? Ed era, forse, questa paura di perdere e disperdere i loro geni in mezzo a quelli dei popoli a spingerli a questi matrimoni tra consanguinei? Andando a leggere in questa chiave gli antichi miti lasciatici dagli autori classici e i documenti e le cronache del passato riusciamo a trovare alcune risposte. Quello che impressiona di più è il come e il perché alcuni siano riusciti ad emergere dal gruppo e proclamarsi capi e sovrani di interi popoli. E il modo con cui questi popoli, spesso anche composti da migliaia se non milioni di persone, li seguissero senza opporsi alla loro regalità.
Cecrope. Primo re di Atene.
Esiste una certa costanza tra i primi documenti storici del passato nel descrivere i primi re dei popoli antichi come divini o figli di dei o semidei. Ad Atene, il primo re era un certo Cecrope. Definito come un “figlio del suolo” in quanto emerse direttamente dalla terra e venne descritto con un corpo composto per metà uomo e per l’altra metà serpente in quanto dalla vita in giù le sue gambe si sviluppavano in due lunghe code serpentiformi e sinuose. Gli ateniesi lo chiamavano semplicemente Cecrope, "Kekrops" e cioè il "caudato". Questa sua diversa natura non gli impedì di divenire il primo re dell'Attica, anzi forse proprio grazie a questa sua natura diversa, "divina".
Fuxi, con consorte, re dal ca. 2952 a.C. - ca. 2836 a.C.
Come quasi un parallelo anche il primo sovrano mitico della Cina, viene ricordato dotato di una particolare natura e come Cecrope veniva descritto mezzo uomo dalla vita in su e mezzo serpente dalla vita in giù. Il suo nome era Fu Xi, e fu uno dei tre mitici sovrani della Cina, i cosiddetti Tre Augusti. Il suo aspetto era reso ancora più strabiliante dal fatto che oltre alla coda avesse anche quattro occhi. Non era l’unico della sua specie. Infatti, lo stesso aspetto lo presentava la sua sposa e consorte, Nüwa. E, come per confermare quello che dicevamo all’inizio sul matrimonio tra consanguinei, era anche sua sorella. Anche lei aveva le stesse caratteristiche del fratello. Non lontano da quelle terre, in quella che fu l’antica Bharati, l’odierna India, e in Thailandia altri esseri serpentiformi si aggiravano in quelle terre mischiandosi agli umani nonostante loro stessi avevano una forma mezza umana e mezza serpentiforme. Erano i Naga.
I Naga e le Nagini furono ritratti nei rilievi in pietra con lunghe code intrecciate sotto la vita. Esemplificative sono gli altorilievi del Tempio del Sole di Konârak, ad Orissa, in India. La cronologia indù divideva l'universo in tre mondi:
Nagina. Tempio di Konarak ad Orissa, India.
 Svarga (paradiso) Prithvi o Martya e Patala (gli inferi). Il Patala noto anche come Naga-loka, era la regione dei Nagas. Nel buddhismo Vajrayana, le grotte abitate dagli Asura (i “senza pace” o i demoni) sono gli ingressi al Patala. Nelle opere cambogiane possiamo trovare delle rappresentazioni di esseri simili ai Naga indiani. Sono i Neak, che vengono descritti come dotati di molte teste simili a serpenti. Anche loro sono coinvolti nella nascita di una stirpe reale. Infatti, nel mito della creazione della Cambogia si descrive che un sacerdote bramino sposò una principessa Neak. Anche Iside e Osiride, sorella e fratello, tra i Frigi venivano scolpiti in forma di cobra. Dall’altra parte del mondo, i popoli Olmechi, Maya e Atzechi ricordavano il loro antico sovrano, Quetzalcóatl, il “serpente-uccello”, o “serpente piumato”, che i Maya chiamavano Kukulcan. Il frate francescano Juan de Torquemada raccolse dalle tradizioni dei nativi del Vecchio Messico: “Quetzalcóatl aveva i capelli biondi, la barba lunga e indossava una tunica nera cucita con croci di colore rosso”1. Insegnò l’arte di lavorare i metalli, la scultura e la scrittura e il far di calcolo. Aborriva, al contrario degli altri dei, il sacrificio umano e lo spargimento di sangue in battaglia. Non potendo dilungarmi nella trattazione di tutti questi ancestrali ricordi su questi esseri mezzo serpentiformi e mezzo umani ci concentreremo sulle storie che ci giungono dal Vecchio Continente.
La prima notizia certa, come dicevamo ci giunge da Atene, con il mitico re Cecrope. Della sua esistenza ce ne dà testimonianza una iscrizione incisa su una lastra di marmo proveniente dall’isola di Paro, una delle isole delle Cicladi in Grecia. Lì, come altre liste reali, vi è l’elenco dei primi sovrani di Atene. La lista reale è nota con il nome di Cronaca di Paro (o Marmor Parium) contenente un profilo della iniziale storia greca dal regno di Cecrope fino all’arcontato di Diogneto di Atene (264/263 a.C.).
Iscrizione sul Marmo di Paro che fa menzione del re Cecrope.
Quando Cecrope giunse in quella regione nota con il nome di Attica era tutt'altro che disabitata ma i popoli che li vi vivevano erano per la maggior parte barbari e selvaggi vivendo nei boschi e nelle montagne senza leggi, senza società e senza disciplina. Il nuovo arrivato, Cecrope, li radunò e fondò un solido insediamento erigendo sull'Acropoli una cittadella-fortezza che dal suo nome fu chiamata Cecropia come pure tutto il resto del paese (Ovidio metam. Lib. VI).
Cecrope sposò Agraulo, figlia di Atteo, re di quelle terre, portandogli come dote quella regione che dal nome del padre era chiamata Attica. Nome che venne poi ripreso successivamente. Dalla pag 38
Secondo un'altra versione Cecrope, prima di giungere in Grecia, partendo dall'Egitto approdò durante il viaggio nell'isola di Cipro e qui vi fece riedificare una città che venne chiamata Salamina. In quest'isola fu stabilito, in onore di sua figlia Agraule, il costume d'immolare ogni anno una vittima umana, costume che durò a lungo, dal momento che dopo la morte di Diomede, eroe della guerra di Troia, gli fu offerto il sacrificio umano, che prima si offriva ad Agraule. Il rito consisteva nel condurre la povera vittima al tempio e qui dopo averle fatto fare tre giri intorno all'altare veniva trafitta con una lancia dal Sacerdote e poi immolata sul fuoco. Defilo, Re di Cipro abolì questa pratica detestabile e sostituì la vittima umana con un bue.
Cecrope, alla sua morte, lasciò tre figlie note con l’appellativo di drakaulos, cioè “coloro che dimorano con il serpente.” (Sofocle fr. 643) la prima portava lo stesso nome della madre, Agraulo, la seconda aveva come nome Erse, fu corteggiata da Ermes e fu anche la protagonista del famoso episodio della cesta che conteneva Erittonio che per curiosità fu trovato e liberato, (come vedremo anche lui dotato di coda serpentina) ed infine la più giovane Pandroso. Alcuni raccontavano anche che Cecrope avesse un figlio maschio, il suo nome era Erittonio, e come il padre, presentava le sue stesse caratteristiche di piedi serpentiformi.
Erittonio liberato dalla cesta dalle figlie di Cecrope.
Non tutti i racconti sono concordi nell’attribuire la paternità a Cecrope. Secondo un altro mito raccontato da Apollodorus Mythographus (
3. 14. 6) Erittonio venne generato dalla dea Terra. Questo riferimento potrebbe essere un ricordo della modalità della sua comparsa, cioè non fu generato ma emerse in superficie dal sottosuolo, come d’altronde si racconta per Cecrope. Suo padre era il dio fabbro Efesto. La dea Atena lo prese in custodia per allevarlo in segreto, ma ben presto il bimbo fu scoperto. La dea Atena aveva posto il piccolo in una cesta rotonda simile a quella usata nei misteri. Un'altra versione ancora riporta che la dea Atena lasciò ben presto il piccolo in custodia alle tre figlie di Cecrope vietando severamente di aprirla. Non appena essa si fu allontanata, le tre fanciulle e in modo particolare Aglauro furono prese dalla curiosità. Tutti sono d’accordo nel dire che fu lei ad aprire la cesta o cassa. Oltre a lei fu colpevole anche un’altra delle due sorelle, ma i narratori della storia non sono d’accordo nel precisare quale delle due. Aglauro e la sua complice videro il segreto: dentro la cesta c’era un bimbo con piedi serpentiformi. (Dizionario portatile delle favole per l'intelligenza de' poeti, delle . Pag 236).
Le storie di regalità legate a esseri ibridi serpente-rettile non terminano così. Un’altra storia ci giunge dall'isola di Paro. Anche quest’isola è collegata con un'altra storia di regalità legata ad un essere rettiloide. Ce ne danno testimonianza gli autori antichi: Strabone ed Erodoto. Dall'isola di Paro giunsero i primi coloni che insieme a Milesi ed Eritrei fondarono una città marittima con un grande porto nell'isola di Pario, sull’Ellesponto, in quello stretto marino che oggi è noto come lo Stretto dei Dardanelli.

Si diceva che qui vi abitassero, gli Ofiogeni (i nati dal serpente da οφις “serpente”, e γένος “nascita”). Strabone parla di famiglia degli ΄ΟφιογενεÝς. Essi facevano risalire la loro discendenza da un rettile unitosi con la loro prima regina Alia. (Strabone, 13, 588) Da questa unione nacque la loro stirpe che venne ricordata da tutti gli autori classici successivi come capace di maneggiare i serpenti. Se fossero stati morsi sarebbero rimasti immuni al loro veleno. Guarivano i morsi delle vipere col semplice tocco della mano (vedi anche Plinio, Historia Naturalis, VII 2,2). Marcus Terentius Varro in un frammento proveniente dalle sue Antichità Umane, scrive che
Quando ad uno degli Ofiogeni sorge il dubbio che sia stato per frode fatto passare alcuno come di loro stirpe gli accostano un serpente che lo morde; se è uno dei loro sopravvive, altrimenti muore di quel morso”.
Un'altra storia che coinvolge un drago e la nascita di una stirpe reale è quella di Cadmo, figlio di Agenore re di Tiro in Fenicia. Il padre sconvolto del rapimento della figlia Europa da parte di Zeus, lo spinse alla ricerca della sorella insieme ai suoi fratelli Fenice e Cilice. I tre si separarono ben presto. Cadmo non riuscendo a trovare una pista da seguire si recò al santuario di Apollo Delfi, chiedendo alla Pizia un responso al dio.
Il tempio un tempo era sede anche  del famoso Pitone,un grosso serpente, che viveva in quella radura dove sorgeva un tempo il tempio della Dea Madre. Il Pitone fu ucciso con una freccia dal dio Apollo e il tempio della Dea divenne il tempio della divinità maschile sacra ai nuovi invasori venuti dal nord.  L'oracolo gli diede un compito quello di seguire una vacca fino a quando non si fosse fermata per mangiare e proprio lì dove si fosse fermata edificare una città, che divenne la famosa Tebe in Beozia. Qui i suoi compagni si avvicinarono ad una sorgente lì vicina, il drago che la custodiva li attaccò.
Il dragone che divora i compagni di Cadmo, Hendrik Goltzius 1588.
Solo Cadmo riuscì a salvarsi uccidendo il drago con la lancia da caccia che l’oracolo gli aveva consigliato di portarsi dietro. In seguito, si seppe che tale serpente era sacro ad Ares. 
Esiodo, Teogonia, vv. 933-937, Della storia di Cadmo, quello che ancor di più impressiona non è la sua lotta contro il drago ma la storia della sua vecchiaia. Infatti, dopo l’edificazione di Tebe, prese in moglie Armonia, figlia di Ares e Afrodite. I due si amarono a lungo ma quando Dioniso adirato distrusse la casa reale furono esiliati in Illiria dove come ci racconta Euripide nelle Baccanti furono trasformati in serpenti, continuando a vivere nascosti in un bosco.  (Euripide, Baccanti, vv. 1330-1339). Questi esseri ibridi mezzo serpenti e mezzo umani erano alquanto comuni.
Cadmo Armonia di Paul Bouche (1677)
Non comparvero dal nulla. I miti dell’intera penisola greca antica ne riportano la loro presenza da tempo immemore. La loro madre era 
Echidna, il cui nome in greco e in Proto-Indo-Europero significa “vipera” (Dal greco échidna «vipera». χιδνα | Échidna Variant of χις, also meaning "viper" from Proto-Indo-European *h1eǵh).
Esiodo nella sua Teogonia la descrive con queste parole:
(Calliroe) generò un altro mostro invincibile, 
per nulla simile agli uomini o agli dèi immortali, 
nel cavo di una gotta: la divina Échidna dal cuore violento, 
metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance, 
per metà serpente, terribile e grande, astuto e crudele,
 al di sotto dei recessi della terra.” (Teogonia 290-305)
Ha dimora in una spelonca, sotto la roccia concava,
lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali:
le imposero i numi di riparare in quell'illustre dimora.
Sta nel paese degli Arimói, sotto terra, la lacrimevole Échidna
la nýmphē che non invecchia e che non muore.”

Echidna
Di Echidna ci parla anche Erodoto nelle sue Storie che riportando i racconti dei Greci residenti sul Ponto, ricorda che il semidio Eracle figlio di Alcmena e Zeus, incontrò questo essere dalle due nature in una delle sue peregrinazioni nella regione dell’Ilea (che significa “terra coperta di boschi”) poi identificata con la Piccola Tartaria e corrispondente oggi all’attuale Ucraina occidentale e la Polonia sud-orientale.
Echidna statua in pietra
Qui, in una grotta, trovò una creatura dalla duplice natura, mezza donna e mezza serpente, donna dai glutei in su e rettile in giù. Queste terre erano le terre dei popoli Sciti e dei Cimmeri. Questa figura era forse la divinità suprema del popolo cimmerio, adoratori di divinità femminili ctonie, cioè quelle divinità legate ai culti sotterranei e delle oscurità delle grotte. Eracle trattenutosi con lei ebbe tre figli con lei. I loro nomi erano Agatirso il primo, Gelono, il secondo e il più giovane Scita. Erodoto aggiunge che da Scita, discesero tutti i re succedutisi sul trono di Scizia. Quindi, ancora una volta abbiamo un esempio di una nuova stirpe reale che ha come madre fondatrice una Dracaena. Con il termine di Dracaena i greci indicavano questi esseri ibridi dall’aspetto mezzo umano con una coda serpentiforme divisa in due.
Conan il Cimmero
Dall'unione con Tifone (“fumo stupefacente”.), un antico dio, uno dei Titani anche esso figlio di Gaia e di Tartaro. Egli stesso rappresentato come un essere ibrido come è visibile nella figura qui a fianco Echidna diede alla luce il cane Cerbero, che è a guardia delle porte dell’Ade, la Chimera, l’Idra di Lerna e il Leone Nemeo., la cui casa era la Tartaria in Transilvania, la casa originaria delle Regine e dei Re Draghi.
Tifone, qui rappresentato nella Battaglia contro Zeus, signore di tutti gli dei e del fulmine
In Tifone come Dio Drago, ricordiamo Odino, uno degli Aesir, lui stesso spesso rappresentato come drago o serpente.
Se ci spostiamo nel tempo e nello spazio fino a giungere nella Britannia del VII secolo d.C. ascoltando le tradizioni orali celtiche troviamo la storia della dinastia britannica dei re PenDragons (Penn: Monte e Dragon: Dragone) dell’isola britannica (Pen Draco Insularis), il loro nome era legato ai draghi e loro stessi appartenenti ad una casata reale. La regalità dei Pendragon celtici non avveniva tramite successione padre-figlio, ma venivano eletti individualmente dal ramo della famiglia in carica, da un consiglio di druidi anziani, per diventare il re dei re. L’ultimo Pendragon   fu Cadwaladr di Gwynedd, che morì nel 664 d.C. All'incirca in quel periodo gran parte della Gran Bretagna cadde sotto l'influenza germanica degli invasori anglosassoni. Dalle Storie del ciclo bretone ci viene che da questa casata provenisse lo stesso re mitico Artù di Britannia, il cui padre era Uther Pendragon.
Queste storie che si innestato nella sfera di influenze della cultura e tradizione delle popolazioni celtiche non sono le uniche che coinvolgono esseri ibridi serpente-umano. Altrettanto famosa è la storia di Melusina. Melusina o meglio sarebbe meglio dire le Melusine, erano delle ninfe d’acqua con la particolarità di possedere una coda di pesce o di serpente, al posto delle gambe.

Frontespizio del romanzo
di Jean d'Arras
Ma la leggenda che a noi più interessa ci giunge da quelle regioni di influenza celtica. La storia fu immortalata nel racconto del poeta e scrittore Jean d’Arras nel suo “Histoire de Lusignan” noto anche come “Roman de Mélusine”. L’opera gli fu commissionata nel 1390 dal duca di Berry, erede del castello dei Lusignano, per ricordare nell’opera l’origine “soprannaturale” della stirpe di cui egli è erede. La casata dei Lusignan è una nobile famiglia della Francia nordoccidentale che comprende anche la Bretagna. Nella storia si racconta di Remondino (Raymondin) figlio del re dei Bretoni, mentre fuggiva per la disperazione dopo aver ucciso per errore suo zio il conte Aymar de Poitiers, durante una battuta di caccia al cinghiale. Nel Bosco incontra presso una fonte, tre fanciulle che nuotavano durante la mezzanotte nelle acque della sorgente. Tre ninfe d’acqua. Una di queste è Melusina. Fu lei a fermare il suo cavallo e a promettergli di farlo diventare il più grande di tutti i signori, purché la sposasse ma non cercasse mai di vederla di sabato. Si sposarono e Raymondin divenne il signore di Lusignan. Dalla loro unione nacquero dieci figli. I primi otto avevano una tara fisica.
Vissero felici fino a quando un sabato su istigazione del fratello di Raymondino non ruppe la promessa di non vederla di sabato. Quindi fece un foro nella porta con la sua spada e vide Melusina che si faceva il bagno in una vasca di marmo. La donna era bellissima come sempre fino alla vita, ma dall’ombelico in giù le sue gambe si allungavano in due lunghe code serpentiformi.
Melusina accortasi del marito presa dalla rabbia assunse l’aspetto di un drago e volò via dalla finestra urlando in modo straziante. Tornerà ben presto per annunziare la morte della sua stirpe.
La stirpe dei Lusignan sopravvisse a quell’evento e divenne famosa per aver fornito numerosi crociati e per aver dato origine ai re d Gerusalemme, di Cipro e della Bassa Armenia.
Quindi, abbiamo un altro esempio di stirpe reale che pone le sue radici in una storia di unione tra un umano e un essere ibrido serpente-umano.
Per capire il perché Mélusina avesse quell’aspetto mostruoso dobbiamo risalire indietro nelle leggende celtiche che ci giungono da tutta l’Europa centrale e dalle isole britanniche. Ed è dalla Britannia che ci viene la spiegazione dell’aspetto di Melusina. Melusina era la figlia di una ninfa d’acqua, associata ovunque con pozzi e sorgenti nella Francia Nordoccidentale. Il nome della madre era Pressyne e Pressyne si innamorò del re di Albione, terra che nelle storie successive prese il nome di Albania. In realtà con Albione si indicava quel territorio corrispondente con l’odierna Scozia. Ed è con questo antico nome celtico che i romani chiamavano la Britannia, cioè quella che è oggi l’Inghilterra. La storia risale tra il V e l’inizio del VI secolo d.C.  Così Pressyna, che era una celtica bretone si innamora del re di Albione ed hanno insieme tre figlie, una di queste è Melusina. Le altre sue due sorelle sono Melior e Palatyne. Tutto era meraviglioso tra Pressyna e Albione tranne per un severo obbligo che Pressyna aveva imposto ad Albione e cioè che non dovesse per nessun motivo esser vista mentre allattava la tripletta (le tre figlie). Possiamo notare ancora una volta che quando un essere mortale si innamora di una ninfa o di un essere dotato di poteri soprannaturali come gli elfi ci sarà sempre una regola che non può essere infranta e se questo succede si avranno terribili conseguenze.
E così, inevitabilmente, un giorno succede quel che doveva succedere: Albione abbraccerà la moglie mentre sta allattando le tre figlie. Lei adirata prende le figlie e scappa lontano nell’isola di Avalon, “l’isola delle mele” quella stessa isola che è familiare nelle storie arturiane. Qui le tre figlie crebbero e una di loro era la Melusina del romanzo di Jean d’Arras. Una sera mentre discorrevano sul perché non conoscessero il loro padre Melusina pur rimanendo in silenzio parla sottovoce di vendetta. Così un giorno, spinta dalla sua impulsività, rapisce il padre e lo mura in un’alta torre per punirlo di aver fatto del male a sua madre. Lei torna ad Avalon pensando che la madre sarebbe stata contenta di lei. In realtà non fu così. Al contrario, Pressyna colta da rabbia, spicca il volo e colpisce Melusina tre volte. Venir colpita tre volte nell'antico linguaggio dei gesti è come condannarla per sempre. Le dice: “Non posso prendere per me per sempre la tua bellezza, ma farò in modo che tu per un giorno alla settimana, e sarà il settimo giorno, ti trasformerai in un mostro. E se mai troverai qualcuno che ti amerà nonostante la tua mostruosità, la tua unione, il tuo matrimonio finirà presto.” Melusina apparirà durante i primi sei giorni della settimana come una bellissima ninfa d’acqua ma il settimo giorno si trasformerà in una donna ancora bella ma con una coda serpentiforme.
E, così che alla fine giungiamo al giorno in cui Melusina e Remondino s’incontrano di fronte alla sorgente.

Statua di Geoffroy le Grand Dent,
figlio di Melusina
Questa storia, come abbiamo visto, è un altro esempio della continua connessione della nascita delle stirpi nobiliari con un essere rettiliforme. Melusina è ricordata come il Serpente Madre della Regalità Europea e non a caso, visto che a lei sono legate le sorti della nobiltà dell’antica Britannia e di quella che sarà poi la Francia e anche di Gerusalemme, Cipro e dell’Armenia. In questo racconto che è solo uno dei tanti dell’area celtica che coinvolge le ninfe d’acqua si mette in evidenza anche un altro aspetto di questi esseri ossia la loro natura di esseri amanti delle acque non solo quelle dolci delle sorgenti, dei laghi e dei fiumi ma anche di quelle marine. I Dracones infatti erano posti come guardiani di fonti d’acqua, boschi o tesori. Infatti, il loro nome drakein è legato nel significato al loro modo di “guardare attentamente o fissare attentamente”. Un significato ben più profondo di quanto possa apparire e che vedremo meglio tra breve.


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