venerdì 31 gennaio 2020

La Nascita della Regalità. Il fondamento dell'elitismo reale così come raccontato dai miti. Prima Parte.

di Nannai

Cos’è il mito?
“Il vero, il quale col volger degli anni
e col cangiare di lingue e costumi
ci pervenne ricoverto di falso.”


Fin dall'antichità, come pure oggi, i sovrani di tutto il mondo e di tutte le epoche hanno da sempre speso tante energie per sostenere, convincere e far approvare la loro diversa natura rispetto al popolo che li ha serviti e riveriti. E, a loro volta, il popolo li ha chiamati i "Sangue Blu" come a identificarne un aspetto visivo, fisico che li distingueva in effetti da loro. La loro pelle diafana mostrava nelle zone meno esposte al sole una caratteristica peculiare, cioè vene, particolarmente visibili, di colore blu, in particolare ai polsi e al collo. Un segno distintivo che potrebbe spiegarsi in diversi modi, dal fatto di una loro scarsa esposizione al sole o ad una loro particolare difficoltà a procedere in modo adeguato agli scambi gassosi e dunque una difficoltà a respirare l'ossigeno che permette la vita su questo pianeta e alle cellule di svolgere i normali processi fisiologici.
Un altro aspetto che li distingueva era la loro ossessione a mantenere la purezza di sangue attraverso matrimoni tra consanguinei, anche tra fratelli e sorelle. La loro ossessione di mantenere la purezza di sangue e quindi la purezza genetica lungo tutta la linea di discendenza era forse dovuta alla loro paura di perdere alcune caratteristiche che solo loro possedevano? Ed era, forse, questa paura di perdere e disperdere i loro geni in mezzo a quelli dei popoli a spingerli a questi matrimoni tra consanguinei? Andando a leggere in questa chiave gli antichi miti lasciatici dagli autori classici e i documenti e le cronache del passato riusciamo a trovare alcune risposte. Quello che impressiona di più è il come e il perché alcuni siano riusciti ad emergere dal gruppo e proclamarsi capi e sovrani di interi popoli. E il modo con cui questi popoli, spesso anche composti da migliaia se non milioni di persone, li seguissero senza opporsi alla loro regalità.
Cecrope. Primo re di Atene.
Esiste una certa costanza tra i primi documenti storici del passato nel descrivere i primi re dei popoli antichi come divini o figli di dei o semidei. Ad Atene, il primo re era un certo Cecrope. Definito come un “figlio del suolo” in quanto emerse direttamente dalla terra e venne descritto con un corpo composto per metà uomo e per l’altra metà serpente in quanto dalla vita in giù le sue gambe si sviluppavano in due lunghe code serpentiformi e sinuose. Gli ateniesi lo chiamavano semplicemente Cecrope, "Kekrops" e cioè il "caudato". Questa sua diversa natura non gli impedì di divenire il primo re dell'Attica, anzi forse proprio grazie a questa sua natura diversa, "divina".
Fuxi, con consorte, re dal ca. 2952 a.C. - ca. 2836 a.C.
Come quasi un parallelo anche il primo sovrano mitico della Cina, viene ricordato dotato di una particolare natura e come Cecrope veniva descritto mezzo uomo dalla vita in su e mezzo serpente dalla vita in giù. Il suo nome era Fu Xi, e fu uno dei tre mitici sovrani della Cina, i cosiddetti Tre Augusti. Il suo aspetto era reso ancora più strabiliante dal fatto che oltre alla coda avesse anche quattro occhi. Non era l’unico della sua specie. Infatti, lo stesso aspetto lo presentava la sua sposa e consorte, Nüwa. E, come per confermare quello che dicevamo all’inizio sul matrimonio tra consanguinei, era anche sua sorella. Anche lei aveva le stesse caratteristiche del fratello. Non lontano da quelle terre, in quella che fu l’antica Bharati, l’odierna India, e in Thailandia altri esseri serpentiformi si aggiravano in quelle terre mischiandosi agli umani nonostante loro stessi avevano una forma mezza umana e mezza serpentiforme. Erano i Naga.
I Naga e le Nagini furono ritratti nei rilievi in pietra con lunghe code intrecciate sotto la vita. Esemplificative sono gli altorilievi del Tempio del Sole di Konârak, ad Orissa, in India. La cronologia indù divideva l'universo in tre mondi:
Nagina. Tempio di Konarak ad Orissa, India.
 Svarga (paradiso) Prithvi o Martya e Patala (gli inferi). Il Patala noto anche come Naga-loka, era la regione dei Nagas. Nel buddhismo Vajrayana, le grotte abitate dagli Asura (i “senza pace” o i demoni) sono gli ingressi al Patala. Nelle opere cambogiane possiamo trovare delle rappresentazioni di esseri simili ai Naga indiani. Sono i Neak, che vengono descritti come dotati di molte teste simili a serpenti. Anche loro sono coinvolti nella nascita di una stirpe reale. Infatti, nel mito della creazione della Cambogia si descrive che un sacerdote bramino sposò una principessa Neak. Anche Iside e Osiride, sorella e fratello, tra i Frigi venivano scolpiti in forma di cobra. Dall’altra parte del mondo, i popoli Olmechi, Maya e Atzechi ricordavano il loro antico sovrano, Quetzalcóatl, il “serpente-uccello”, o “serpente piumato”, che i Maya chiamavano Kukulcan. Il frate francescano Juan de Torquemada raccolse dalle tradizioni dei nativi del Vecchio Messico: “Quetzalcóatl aveva i capelli biondi, la barba lunga e indossava una tunica nera cucita con croci di colore rosso”1. Insegnò l’arte di lavorare i metalli, la scultura e la scrittura e il far di calcolo. Aborriva, al contrario degli altri dei, il sacrificio umano e lo spargimento di sangue in battaglia. Non potendo dilungarmi nella trattazione di tutti questi ancestrali ricordi su questi esseri mezzo serpentiformi e mezzo umani ci concentreremo sulle storie che ci giungono dal Vecchio Continente.
La prima notizia certa, come dicevamo ci giunge da Atene, con il mitico re Cecrope. Della sua esistenza ce ne dà testimonianza una iscrizione incisa su una lastra di marmo proveniente dall’isola di Paro, una delle isole delle Cicladi in Grecia. Lì, come altre liste reali, vi è l’elenco dei primi sovrani di Atene. La lista reale è nota con il nome di Cronaca di Paro (o Marmor Parium) contenente un profilo della iniziale storia greca dal regno di Cecrope fino all’arcontato di Diogneto di Atene (264/263 a.C.).
Iscrizione sul Marmo di Paro che fa menzione del re Cecrope.
Quando Cecrope giunse in quella regione nota con il nome di Attica era tutt'altro che disabitata ma i popoli che li vi vivevano erano per la maggior parte barbari e selvaggi vivendo nei boschi e nelle montagne senza leggi, senza società e senza disciplina. Il nuovo arrivato, Cecrope, li radunò e fondò un solido insediamento erigendo sull'Acropoli una cittadella-fortezza che dal suo nome fu chiamata Cecropia come pure tutto il resto del paese (Ovidio metam. Lib. VI).
Cecrope sposò Agraulo, figlia di Atteo, re di quelle terre, portandogli come dote quella regione che dal nome del padre era chiamata Attica. Nome che venne poi ripreso successivamente. Dalla pag 38
Secondo un'altra versione Cecrope, prima di giungere in Grecia, partendo dall'Egitto approdò durante il viaggio nell'isola di Cipro e qui vi fece riedificare una città che venne chiamata Salamina. In quest'isola fu stabilito, in onore di sua figlia Agraule, il costume d'immolare ogni anno una vittima umana, costume che durò a lungo, dal momento che dopo la morte di Diomede, eroe della guerra di Troia, gli fu offerto il sacrificio umano, che prima si offriva ad Agraule. Il rito consisteva nel condurre la povera vittima al tempio e qui dopo averle fatto fare tre giri intorno all'altare veniva trafitta con una lancia dal Sacerdote e poi immolata sul fuoco. Defilo, Re di Cipro abolì questa pratica detestabile e sostituì la vittima umana con un bue.
Cecrope, alla sua morte, lasciò tre figlie note con l’appellativo di drakaulos, cioè “coloro che dimorano con il serpente.” (Sofocle fr. 643) la prima portava lo stesso nome della madre, Agraulo, la seconda aveva come nome Erse, fu corteggiata da Ermes e fu anche la protagonista del famoso episodio della cesta che conteneva Erittonio che per curiosità fu trovato e liberato, (come vedremo anche lui dotato di coda serpentina) ed infine la più giovane Pandroso. Alcuni raccontavano anche che Cecrope avesse un figlio maschio, il suo nome era Erittonio, e come il padre, presentava le sue stesse caratteristiche di piedi serpentiformi.
Erittonio liberato dalla cesta dalle figlie di Cecrope.
Non tutti i racconti sono concordi nell’attribuire la paternità a Cecrope. Secondo un altro mito raccontato da Apollodorus Mythographus (
3. 14. 6) Erittonio venne generato dalla dea Terra. Questo riferimento potrebbe essere un ricordo della modalità della sua comparsa, cioè non fu generato ma emerse in superficie dal sottosuolo, come d’altronde si racconta per Cecrope. Suo padre era il dio fabbro Efesto. La dea Atena lo prese in custodia per allevarlo in segreto, ma ben presto il bimbo fu scoperto. La dea Atena aveva posto il piccolo in una cesta rotonda simile a quella usata nei misteri. Un'altra versione ancora riporta che la dea Atena lasciò ben presto il piccolo in custodia alle tre figlie di Cecrope vietando severamente di aprirla. Non appena essa si fu allontanata, le tre fanciulle e in modo particolare Aglauro furono prese dalla curiosità. Tutti sono d’accordo nel dire che fu lei ad aprire la cesta o cassa. Oltre a lei fu colpevole anche un’altra delle due sorelle, ma i narratori della storia non sono d’accordo nel precisare quale delle due. Aglauro e la sua complice videro il segreto: dentro la cesta c’era un bimbo con piedi serpentiformi. (Dizionario portatile delle favole per l'intelligenza de' poeti, delle . Pag 236).
Le storie di regalità legate a esseri ibridi serpente-rettile non terminano così. Un’altra storia ci giunge dall'isola di Paro. Anche quest’isola è collegata con un'altra storia di regalità legata ad un essere rettiloide. Ce ne danno testimonianza gli autori antichi: Strabone ed Erodoto. Dall'isola di Paro giunsero i primi coloni che insieme a Milesi ed Eritrei fondarono una città marittima con un grande porto nell'isola di Pario, sull’Ellesponto, in quello stretto marino che oggi è noto come lo Stretto dei Dardanelli.

Si diceva che qui vi abitassero, gli Ofiogeni (i nati dal serpente da οφις “serpente”, e γένος “nascita”). Strabone parla di famiglia degli ΄ΟφιογενεÝς. Essi facevano risalire la loro discendenza da un rettile unitosi con la loro prima regina Alia. (Strabone, 13, 588) Da questa unione nacque la loro stirpe che venne ricordata da tutti gli autori classici successivi come capace di maneggiare i serpenti. Se fossero stati morsi sarebbero rimasti immuni al loro veleno. Guarivano i morsi delle vipere col semplice tocco della mano (vedi anche Plinio, Historia Naturalis, VII 2,2). Marcus Terentius Varro in un frammento proveniente dalle sue Antichità Umane, scrive che
Quando ad uno degli Ofiogeni sorge il dubbio che sia stato per frode fatto passare alcuno come di loro stirpe gli accostano un serpente che lo morde; se è uno dei loro sopravvive, altrimenti muore di quel morso”.
Un'altra storia che coinvolge un drago e la nascita di una stirpe reale è quella di Cadmo, figlio di Agenore re di Tiro in Fenicia. Il padre sconvolto del rapimento della figlia Europa da parte di Zeus, lo spinse alla ricerca della sorella insieme ai suoi fratelli Fenice e Cilice. I tre si separarono ben presto. Cadmo non riuscendo a trovare una pista da seguire si recò al santuario di Apollo Delfi, chiedendo alla Pizia un responso al dio.
Il tempio un tempo era sede anche  del famoso Pitone,un grosso serpente, che viveva in quella radura dove sorgeva un tempo il tempio della Dea Madre. Il Pitone fu ucciso con una freccia dal dio Apollo e il tempio della Dea divenne il tempio della divinità maschile sacra ai nuovi invasori venuti dal nord.  L'oracolo gli diede un compito quello di seguire una vacca fino a quando non si fosse fermata per mangiare e proprio lì dove si fosse fermata edificare una città, che divenne la famosa Tebe in Beozia. Qui i suoi compagni si avvicinarono ad una sorgente lì vicina, il drago che la custodiva li attaccò.
Il dragone che divora i compagni di Cadmo, Hendrik Goltzius 1588.
Solo Cadmo riuscì a salvarsi uccidendo il drago con la lancia da caccia che l’oracolo gli aveva consigliato di portarsi dietro. In seguito, si seppe che tale serpente era sacro ad Ares. 
Esiodo, Teogonia, vv. 933-937, Della storia di Cadmo, quello che ancor di più impressiona non è la sua lotta contro il drago ma la storia della sua vecchiaia. Infatti, dopo l’edificazione di Tebe, prese in moglie Armonia, figlia di Ares e Afrodite. I due si amarono a lungo ma quando Dioniso adirato distrusse la casa reale furono esiliati in Illiria dove come ci racconta Euripide nelle Baccanti furono trasformati in serpenti, continuando a vivere nascosti in un bosco.  (Euripide, Baccanti, vv. 1330-1339). Questi esseri ibridi mezzo serpenti e mezzo umani erano alquanto comuni.
Cadmo Armonia di Paul Bouche (1677)
Non comparvero dal nulla. I miti dell’intera penisola greca antica ne riportano la loro presenza da tempo immemore. La loro madre era 
Echidna, il cui nome in greco e in Proto-Indo-Europero significa “vipera” (Dal greco échidna «vipera». χιδνα | Échidna Variant of χις, also meaning "viper" from Proto-Indo-European *h1eǵh).
Esiodo nella sua Teogonia la descrive con queste parole:
(Calliroe) generò un altro mostro invincibile, 
per nulla simile agli uomini o agli dèi immortali, 
nel cavo di una gotta: la divina Échidna dal cuore violento, 
metà fanciulla dagli occhi splendenti e dalle belle guance, 
per metà serpente, terribile e grande, astuto e crudele,
 al di sotto dei recessi della terra.” (Teogonia 290-305)
Ha dimora in una spelonca, sotto la roccia concava,
lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali:
le imposero i numi di riparare in quell'illustre dimora.
Sta nel paese degli Arimói, sotto terra, la lacrimevole Échidna
la nýmphē che non invecchia e che non muore.”

Echidna
Di Echidna ci parla anche Erodoto nelle sue Storie che riportando i racconti dei Greci residenti sul Ponto, ricorda che il semidio Eracle figlio di Alcmena e Zeus, incontrò questo essere dalle due nature in una delle sue peregrinazioni nella regione dell’Ilea (che significa “terra coperta di boschi”) poi identificata con la Piccola Tartaria e corrispondente oggi all’attuale Ucraina occidentale e la Polonia sud-orientale.
Echidna statua in pietra
Qui, in una grotta, trovò una creatura dalla duplice natura, mezza donna e mezza serpente, donna dai glutei in su e rettile in giù. Queste terre erano le terre dei popoli Sciti e dei Cimmeri. Questa figura era forse la divinità suprema del popolo cimmerio, adoratori di divinità femminili ctonie, cioè quelle divinità legate ai culti sotterranei e delle oscurità delle grotte. Eracle trattenutosi con lei ebbe tre figli con lei. I loro nomi erano Agatirso il primo, Gelono, il secondo e il più giovane Scita. Erodoto aggiunge che da Scita, discesero tutti i re succedutisi sul trono di Scizia. Quindi, ancora una volta abbiamo un esempio di una nuova stirpe reale che ha come madre fondatrice una Dracaena. Con il termine di Dracaena i greci indicavano questi esseri ibridi dall’aspetto mezzo umano con una coda serpentiforme divisa in due.
Conan il Cimmero
Dall'unione con Tifone (“fumo stupefacente”.), un antico dio, uno dei Titani anche esso figlio di Gaia e di Tartaro. Egli stesso rappresentato come un essere ibrido come è visibile nella figura qui a fianco Echidna diede alla luce il cane Cerbero, che è a guardia delle porte dell’Ade, la Chimera, l’Idra di Lerna e il Leone Nemeo., la cui casa era la Tartaria in Transilvania, la casa originaria delle Regine e dei Re Draghi.
Tifone, qui rappresentato nella Battaglia contro Zeus, signore di tutti gli dei e del fulmine
In Tifone come Dio Drago, ricordiamo Odino, uno degli Aesir, lui stesso spesso rappresentato come drago o serpente.
Se ci spostiamo nel tempo e nello spazio fino a giungere nella Britannia del VII secolo d.C. ascoltando le tradizioni orali celtiche troviamo la storia della dinastia britannica dei re PenDragons (Penn: Monte e Dragon: Dragone) dell’isola britannica (Pen Draco Insularis), il loro nome era legato ai draghi e loro stessi appartenenti ad una casata reale. La regalità dei Pendragon celtici non avveniva tramite successione padre-figlio, ma venivano eletti individualmente dal ramo della famiglia in carica, da un consiglio di druidi anziani, per diventare il re dei re. L’ultimo Pendragon   fu Cadwaladr di Gwynedd, che morì nel 664 d.C. All'incirca in quel periodo gran parte della Gran Bretagna cadde sotto l'influenza germanica degli invasori anglosassoni. Dalle Storie del ciclo bretone ci viene che da questa casata provenisse lo stesso re mitico Artù di Britannia, il cui padre era Uther Pendragon.
Queste storie che si innestato nella sfera di influenze della cultura e tradizione delle popolazioni celtiche non sono le uniche che coinvolgono esseri ibridi serpente-umano. Altrettanto famosa è la storia di Melusina. Melusina o meglio sarebbe meglio dire le Melusine, erano delle ninfe d’acqua con la particolarità di possedere una coda di pesce o di serpente, al posto delle gambe.

Frontespizio del romanzo
di Jean d'Arras
Ma la leggenda che a noi più interessa ci giunge da quelle regioni di influenza celtica. La storia fu immortalata nel racconto del poeta e scrittore Jean d’Arras nel suo “Histoire de Lusignan” noto anche come “Roman de Mélusine”. L’opera gli fu commissionata nel 1390 dal duca di Berry, erede del castello dei Lusignano, per ricordare nell’opera l’origine “soprannaturale” della stirpe di cui egli è erede. La casata dei Lusignan è una nobile famiglia della Francia nordoccidentale che comprende anche la Bretagna. Nella storia si racconta di Remondino (Raymondin) figlio del re dei Bretoni, mentre fuggiva per la disperazione dopo aver ucciso per errore suo zio il conte Aymar de Poitiers, durante una battuta di caccia al cinghiale. Nel Bosco incontra presso una fonte, tre fanciulle che nuotavano durante la mezzanotte nelle acque della sorgente. Tre ninfe d’acqua. Una di queste è Melusina. Fu lei a fermare il suo cavallo e a promettergli di farlo diventare il più grande di tutti i signori, purché la sposasse ma non cercasse mai di vederla di sabato. Si sposarono e Raymondin divenne il signore di Lusignan. Dalla loro unione nacquero dieci figli. I primi otto avevano una tara fisica.
Vissero felici fino a quando un sabato su istigazione del fratello di Raymondino non ruppe la promessa di non vederla di sabato. Quindi fece un foro nella porta con la sua spada e vide Melusina che si faceva il bagno in una vasca di marmo. La donna era bellissima come sempre fino alla vita, ma dall’ombelico in giù le sue gambe si allungavano in due lunghe code serpentiformi.
Melusina accortasi del marito presa dalla rabbia assunse l’aspetto di un drago e volò via dalla finestra urlando in modo straziante. Tornerà ben presto per annunziare la morte della sua stirpe.
La stirpe dei Lusignan sopravvisse a quell’evento e divenne famosa per aver fornito numerosi crociati e per aver dato origine ai re d Gerusalemme, di Cipro e della Bassa Armenia.
Quindi, abbiamo un altro esempio di stirpe reale che pone le sue radici in una storia di unione tra un umano e un essere ibrido serpente-umano.
Per capire il perché Mélusina avesse quell’aspetto mostruoso dobbiamo risalire indietro nelle leggende celtiche che ci giungono da tutta l’Europa centrale e dalle isole britanniche. Ed è dalla Britannia che ci viene la spiegazione dell’aspetto di Melusina. Melusina era la figlia di una ninfa d’acqua, associata ovunque con pozzi e sorgenti nella Francia Nordoccidentale. Il nome della madre era Pressyne e Pressyne si innamorò del re di Albione, terra che nelle storie successive prese il nome di Albania. In realtà con Albione si indicava quel territorio corrispondente con l’odierna Scozia. Ed è con questo antico nome celtico che i romani chiamavano la Britannia, cioè quella che è oggi l’Inghilterra. La storia risale tra il V e l’inizio del VI secolo d.C.  Così Pressyna, che era una celtica bretone si innamora del re di Albione ed hanno insieme tre figlie, una di queste è Melusina. Le altre sue due sorelle sono Melior e Palatyne. Tutto era meraviglioso tra Pressyna e Albione tranne per un severo obbligo che Pressyna aveva imposto ad Albione e cioè che non dovesse per nessun motivo esser vista mentre allattava la tripletta (le tre figlie). Possiamo notare ancora una volta che quando un essere mortale si innamora di una ninfa o di un essere dotato di poteri soprannaturali come gli elfi ci sarà sempre una regola che non può essere infranta e se questo succede si avranno terribili conseguenze.
E così, inevitabilmente, un giorno succede quel che doveva succedere: Albione abbraccerà la moglie mentre sta allattando le tre figlie. Lei adirata prende le figlie e scappa lontano nell’isola di Avalon, “l’isola delle mele” quella stessa isola che è familiare nelle storie arturiane. Qui le tre figlie crebbero e una di loro era la Melusina del romanzo di Jean d’Arras. Una sera mentre discorrevano sul perché non conoscessero il loro padre Melusina pur rimanendo in silenzio parla sottovoce di vendetta. Così un giorno, spinta dalla sua impulsività, rapisce il padre e lo mura in un’alta torre per punirlo di aver fatto del male a sua madre. Lei torna ad Avalon pensando che la madre sarebbe stata contenta di lei. In realtà non fu così. Al contrario, Pressyna colta da rabbia, spicca il volo e colpisce Melusina tre volte. Venir colpita tre volte nell'antico linguaggio dei gesti è come condannarla per sempre. Le dice: “Non posso prendere per me per sempre la tua bellezza, ma farò in modo che tu per un giorno alla settimana, e sarà il settimo giorno, ti trasformerai in un mostro. E se mai troverai qualcuno che ti amerà nonostante la tua mostruosità, la tua unione, il tuo matrimonio finirà presto.” Melusina apparirà durante i primi sei giorni della settimana come una bellissima ninfa d’acqua ma il settimo giorno si trasformerà in una donna ancora bella ma con una coda serpentiforme.
E, così che alla fine giungiamo al giorno in cui Melusina e Remondino s’incontrano di fronte alla sorgente.

Statua di Geoffroy le Grand Dent,
figlio di Melusina
Questa storia, come abbiamo visto, è un altro esempio della continua connessione della nascita delle stirpi nobiliari con un essere rettiliforme. Melusina è ricordata come il Serpente Madre della Regalità Europea e non a caso, visto che a lei sono legate le sorti della nobiltà dell’antica Britannia e di quella che sarà poi la Francia e anche di Gerusalemme, Cipro e dell’Armenia. In questo racconto che è solo uno dei tanti dell’area celtica che coinvolge le ninfe d’acqua si mette in evidenza anche un altro aspetto di questi esseri ossia la loro natura di esseri amanti delle acque non solo quelle dolci delle sorgenti, dei laghi e dei fiumi ma anche di quelle marine. I Dracones infatti erano posti come guardiani di fonti d’acqua, boschi o tesori. Infatti, il loro nome drakein è legato nel significato al loro modo di “guardare attentamente o fissare attentamente”. Un significato ben più profondo di quanto possa apparire e che vedremo meglio tra breve.


Fine Prima Parte


martedì 24 settembre 2019

Il Drachenei di Lucerna ovvero L'Uovo di Drago di Lucerna e i Draghi delle Alpi Svizzere


di Nannai
Quando si entra in un Museo di Storia Naturale non si può certo immaginare di trovare in mezzo ai tanti reperti zoologici e ai diorami di vita quotidiana degli animali anche un reperto che non ti aspetti. Tra tutti i fossili, i cristalli e i minerali non si pensa certo di trovare un uovo di drago. Ma è quello che è successo a me visitando il Museo di Storia Naturale di Lucerna. Ero impreparato, non conoscevo la storia della città. Ma fu per me, ricercatore, una piacevole scoperta. Se la cosa venisse un po' più pubblicizzata e giungesse alle orecchie degli amanti di storia fantastica e ai cripto-zoologi, il museo sarebbe sicuramente più frequentato di quanto lo è oggi.
Infatti, sembrerebbe che un tempo la città di Lucerna avesse tra i suoi vanti quello di aver disseppellito tra le radici di una grande quercia le ossa di un gigante più alto dello stesso Golia biblico, e di possedere un vero e proprio uovo di drago, per di più dotato esso stesso di uno straordinario potere di guarigione contro tutti i mali e i malanni.
Lo stesso Museo di Storia Naturale lo presenta come una peculiarità del Museo, ma non dice molto di più delle poche note di come venne ritrovato.
Mons Pilatus
Eppure, Lucerna ai piedi del Monte Pilatus con di fronte il Monte Rigi, sulle sponde di uno dei bracci del Lago dei Quattro Cantoni, è solo uno dei luoghi dove un tempo si diceva dimorassero i draghi. Tutta quanta la catena alpina della Svizzera sembra fosse un gigantesco nido per draghi. Se volete trovare i draghi, la Svizzera è il posto giusto. Anche se gli stessi svizzeri non sembra che ne siano a conoscenza.
Così, nel tentativo di approfondire un aspetto della storia dell'umanità, il rapporto tra draghi e genere umano, è iniziata la mia ricerca nel loro mondo partendo proprio dalle Alpi elvetiche.
Draco a pag 396 di Scheuchzer, Johann Jakob, 1672-1733 -
Ouresiphoítes Helveticus, sive itinera per Helvetiæ alpinas

Questa ricerca si è poi trasformata fino a diventare un viaggio nel sottosuolo della Terra e nel ventre delle montagne, nonché nello stesso animo umano che come quegli anfratti sotterranei si scopre essere pieno di oscure paure irrazionali e incomprensibili.
Il Drachenei o Uovo di Drago
Racchiuso in un vecchio e consunto cofanetto di cuoio chiaro e poggiato su un morbido cuscino di velluto rosa, l'uovo appare alla vista come una sfera di pietra distinta in tre diverse fasce alternate di chiaro e scuro. La fascia centrale chiara presenta delle figure che sembrano essere delle sinuose sanguisughe. La superficie ad occhio appare porosa come lo potrebbe essere un vero uovo di rettile o di uccello.
Sottoposto ad un'analisi non invasiva portata avanti dagli scienziati del Museo Naturale di Lucerna, dell'Università di Berna e del Museo di Storia Naturale di Berna e da parte dei laboratori di Dübendorf, si è riusciti utilizzando la metodica di tomografia computerizzata a mostrare che la pietra era costituita internamente di un materiale, la cui natura era probabilmente argilla cotta. A questa probabile natura però gli scienziati non riuscivano a dare una spiegazione, ne riuscivano a spiegare come fosse stata creata la palla di argilla, e ancora non riuscivano a conciliare il risultato trovato con l'osservazione di come venne rinvenuta quasi 600 anni fa dal contadino di Lucerna.

L'Uovo di Drago -
Foto dell'Autore
 Queste analisi, che escludono solo la natura meteorica dell'uovo, ipotesi avanzata nel XVII secolo dal fisico e teorico dell'origine dei meteoriti Ernst Florens Friedrich Chladni (1756-1827), non sembrano mettere la parola fine sulla sua origine. Il risultato delle analisi ci dicono solo che essa ha una natura argillosa. Ma non conoscendo la natura delle uova di drago potrebbe benissimo essere di argilla cotta. Dopo 600 anni, il contenuto potrebbe essersi trasformato in un uovo d'argilla. Ipotesi, da non escludere velocemente, non conoscendo il modo con cui quest'uovo inizialmente veniva conservato, forse anche in un contenitore pieno di argilla? Subendo, così un primo processo di fossilizzazione? Non è forse così che nascono i fossili?

 De Draconibus subterraneus

 Athanasius Kircher
La storia del suo ritrovamento ci viene riportata nella sua interezza dal gesuita Athanasius Kircher, enciclopedista e museologo. Figura poliedrica, interessato a tutti i rami dello scibile umano. A lui si devono gli studi sulla Mensa Isiaca, la Tavola bembina (dal nome del Cardinale Bembo) e gli studi di acustica, di ottica e di magia naturale.

Un’unica forza, quindi, quella dell’Amore (v. J. Hechius “Magnes amoris amor" lega il mondo minerale, vegetale e animale, 
Athanasius Kircher nella sua Ars Magna Lucis et Umbrae: 

Nella sua opera intitolata Mundus subterraneus (del 1665) scritta durante il suo soggiorno a Roma,  il gesuita tedesco raccolse molte storie di draghi in Europa e Asia, e tra queste vi era anche quella del ritrovamento dell'uovo di Drago di Lucerna. 

Athanasius dice di aver letto la storia originale raccolta e raccontata nell'opera di un altro gesuità, Joannes Cysatus.

Narrat Cysatus - estratto da Mundus Subterraneus di A. Kircher pag. 99 
  Narrat Cysatus

Racconta Cysatus che "mentre un contadino raccoglieva il fieno, vide provenire dal monte Pilatus  sulla collina opposta l'immensa mole di un drago, quando lo vide da po' lontano per timore di morire ebbe una crisi. Tuttavia continuò ad osservarlo, e  vide che (il drago) lasciò cadere qualcosa come un liquido; alcuni reperti sotto forma di coagulo di sangue caddero nel prato. Al suo interno vi era una pietra di vari colori, uno di questi (reperti) si trova ancor oggi a Lucerna "conservato" come un cimelio di valore  inestimabile".

Si trattava, sicuramente, di un cimelio di inestimabile valore non solo per la sua origine fuori dal comune, ma anche perché fin da subito si diffuse la voce che avesse capacità di sanare tutti i mali. Questa proprietà condivisa con tutte le altre draconiti del mondo, cioè le pietre, estratte dai crani dei draghi quando ancora erano vivi, e che venivano usate a scopi terapeutici.

Il contadino protagonista dell'evento inusuale, avvenuto nel 1420, si chiamava Bauer Stampfli. La pietra fu poi venduta al chirurgo Martin Schriber nel 1509 e usata per operare miracolose guarigioni.

La Mirabolante Storia del Bottaio che visse per Sei Mesi con due Draghi.

Questa appena raccontata della draconite di Lucerna non è la sola leggenda di draghi che ci è giunta dai monti della regione di Lucerna. Athanasius Kircher ci riporta altre storie di draghi che abitavano gli anfratti del monte Pilatus. Una di queste leggende vide come personaggio un bottaio di Lucerna. Mentre era impegnato nella ricerca di legna per farne botti da vino. Nella solitudine degli intricati e labirintici sentieri dei boschi del Monte perse la via del ritorno. Vagabondò per tutta la notte in cerca della via di casa fino a quando non rovinò dentro una di quei tanti anfratti che segnano il fianco della montagna. La sua caduta rovinosa nel profondo crepaccio fu attutita dal fango che si trovava sul fondo. Cercò di uscire dalla profonda voragine ma non vi riuscì, scoprì diverse caverne, la più grande delle quali ospitava due orribili draghi alati (ecce mox duos horridos dracones sibi abviam habuit). I due dragoni si dimostrarono abbastanza mansueti non stritolandolo né con il lungo collo né con la coda. Rimase in loro compagnia non per un giorno, non per una settimana ma per sei interi mesi, dal sei Novembre al dieci Aprile. (Commoratus est tamen, non unum diem aut septimanam, sed sex integris mensibus, à sexta Novembris, usque ad decimam Aprilis.) Dormì con loro durante le lunghe notti invernali avvolto alle loro lunghe spire, sostentandosi con un liquido salato che essudava dalle pareti della grotta seguendo l'esempio dei draghi che lo leccavano di continuo. Questo liquido fu sufficiente a rifocillare il bottaio per tutta la durata della sua permanenza nella grotta. Con l'arrivo della primavera i draghi cominciarono a mostrarsi sempre più agitati. All'improvviso, uno di loro agitò le grandi ali e abbandonò la tana volando via.
Quando il secondo si preparò a seguirlo, il bottaio vedendola come unica soluzione per uscire da lì si aggrappò alla coda del drago. Al ritorno in città la sua storia fu ascoltata con grande stupore. Si fece sacerdote, ma il ritorno ad una alimentazione regolare ben presto lo portò alla morte.


 A questa leggenda segue una storia ancor più incredibile che vide testimoni non una sola persona ma un intera città, dopo che si era verificato un violento temporale la sera del 25 maggio 1499 a Lucerna. La mattina seguente del 26 maggio 1499 si dice che un magnifico dragone senza ali si levò dall'interno del fiume Reuss. La storia prosegue dicendo che il drago finì nel fiume a causa della tempesta che imperversava sul Monte Pilatus. La gente di varie città vide il drago.
Figura tra le pag 386 e 387 nel libro del Naturalista
Scheuchzer, Johann Jakob, 1672-1733 -
Ouresiphoítes Helveticus, sive itinera per Helvetiæ alpina.
Da  notare la somiglianza con i draghi cinesi
Non si sa bene se si trattasse sempre dello stesso drago del 1420 ma nel 1619, uno stimato uomo di nome Christophorum Schorerum, prefetto del territorio di Solidurani in una lettera descrive la sua testimonianza della visione di un drago alato. Lui così descrive l'evento: "Mentre contemplavo il cielo sereno durante la notte, vidi uno splendido dragone con ali battenti andare da un antro della immensa rupe nel monte Pilatus verso un altra grotta chiamata Flue nella parte opposta del lago". Le ali  durante il transvolo venivano agitate velocemente.
A riprova che i draghi erano un po' diffusi per tutta la Svizzera il nostro Athanasius ci riporta altri avvenimenti accaduti nei secoli precedenti. Ci racconta che, nell'anno 712 d. C., due fratelli, il più grande chiamato Syntram l'altro Beltram, due condottieri Lenzeburgenses mentre si trovavano a caccia nelle immense solitudini delle rupi dei monti del territorio bernese nell'antico borgo di Burgdorpium (Urbs Burgdorpium) si imbatterono nell'immensa mole di un mostro. Si trattava di un Drago, che giaceva nelle profondità di una grotta. Il drago alla vista dei cavalieri li scambiò per delle prede e con grande impeto si precipitò su di loro. Inghiottì vivo Beltram, il fratello minore. Allora, Syntram con impeto sia con l'asta che con il gladio squarciò il ventre della bestia estraendo il corpo del fratello che stava esalando l'ultimo respiro. Il suo corpo fu deposto a Berna nella cappella di Santa Margherita.
Un'altra leggenda narra la storia di come un governatore regionale, Winkelried, abbia ucciso un drago sul Monte Pilatus. Si dice che avvolse la lancia in ramoscelli di spine, la spinse nella bocca del drago e proseguì la sua azione perforando il drago con la spada. Sfortunatamente, però, parte del sangue velenoso del drago cadde sulla sua mano e in più anche il fetido respiro del drago morente avvolse il cavaliere. Il sangue nelle vene di Winkelried si raggrumò e lui morì.
L'elenco potrebbe continuare ancora a lungo per allargarsi alle storie provenienti dai Carpazi e dalle isole Britanniche fino a giungere in Oriente, ma per ora è meglio interrompere qui e continuare in un altro articolo. Basti solo ricordare che della presenza di Draghi in Svizzera non fu solo Athanasius Kircher a parlarci. A lui si dovrebbero aggiungere la raccolta di un altro studioso svizzero, il naturalista Johann Jakob Scheuchzer che nel secondo volume della sua immensa opera "Iter Alpinum", l'Ouresiphoites Halveticus, raccoglie altre storie di prima mano nel tentativo di trovare conferma ai numerosi racconti sui draghi dei monti della Svizzera. Poi si potrebbe aggiungere la raccolta delle storie di Ignatius Schreiner nel suo "Tractatus de animalibus subterraneis et  insectis"  o l'elenco fatto da Johannes Zahn nel suo volume "Speculae Physico-Mathematico-Historica" Tomus II:  senza dover ricordare i racconti degli autori classici.
È anche possibile che da questi monti provenisse il famoso drago che imperversava da Erba fino in Valassina, ammorbando l'aria con il suo fiato pestifero e facendo stragi di greggi e animali domestici. Per contenere la furia del rettile alato i cittadini concessero al drago una principessa, una bellissima fanciulla figlia di re. Mentre il drago stava per divorarla sopraggiunse nella regione della Brianza S. Giorgio, il famoso cavaliere originario della Cappadocia, che sconfisse il drago. Lo decapitò e la testa rotolò fino nel lago di PusianoLiber Notitiae Sanctorum Mediolanii" ed è stata ben raffigurata nelle opere del pittore fiorentino Paolo Uccello
San Giorgio e il Drago di Paolo Uccello, Londra
National Gallery.
La storia viene raccontata nel "
La regione della Brianza non è molto lontana in linea d'aria da un altro probabile nido di draghi, cioè il Monte S Giorgio in Ticino nel sud della Svizzera. 
La linea nera traccia il percosso via aria dal Monte S. Giorgio
al Lago Pusiano dove il Santo sauroctono uccide il drago.

Monte ora patrimonio dell' Unesco e sede di numerosi ritrovamenti di fossili tra cui anche il Ticinosuchus ferox, le cui sembianze ricordano le descrizioni dei testimoni oculari di draghi. 
Ricostruzione del Ticinosuchus ferox esposto al
Museo Paleontologico del Monte S. Giorgio
L'ipotesi che nasce è questa: non è forse probabile che alcuni esemplari di questi sauri preistorici siano riusciti a proliferare fino al Medioevo, quindi resistendo agli sconvolgimenti geologici che i paleontologi dicono essere causa della loro estinzione?
Queste storie e molte altre che, probabilmente, non furono mai trascritte, spinsero le autorità di Lucerna a proibire per lungo tempo a tutti l'accesso e l'ascesa alla montagna del Pilatus. 
Particolare del Ticinosuchus ferox 
La motivazione ufficiale era la pericolosità della montagna a causa delle continue tempeste che lì si sprigionavano. E la cosa sembrava essere molto seria e di grande importanza per le autorità cittadine perché quando nel 1387 sei chierici tentarono di scalare il monte senza aiuto vennero imprigionati. Oltre a queste proibizioni, la gente veniva tenuta lontana dal monte anche grazie alla diffusa credenza popolare che raccontava che il Monte si chiamasse così perché i romani seppellirono sulle sue pendici Ponzio Pilato. I romani per liberarsi del pesante fardello rappresentato dalle spoglie del giudice di Gesù, lo seppellirono su quelle rupi. Dunque il monte prenderebbe il nome dal prefetto romano della Giudea. La credenza popolare diceva che le continue tempeste che lì imperversavano fossero dovute allo spirito del prefetto romano che non riusciva a trovare pace a causa del sangue di Gesù versato. 
Pharmacopea alchemica - Lucerna
In realtà, sembra che il nome derivi dal termine latino "pileatus/pilleatus" che significa incappellato / imberrettato, cioè sormontato dalle nubi. 
Fu solo nel sedicesimo secolo che divenne legale arrampicarsi sulle rupi della montagna.
Da allora illustri personaggi, vi salirono tra i quali Conrad Gessner, Theodore Roosevelt, Arthur Shopenhauer (1804), la Regina Vittoria sotto lo pseudonimo della contessa del Kent e Julia Ward Howe (1867).

Particolare del sauro all'interno del laboratorio farmacologico.
Il sauro presenta delle corna di cervo come ali.
I moderni hanno cercato di giustificare in tutti i modi queste testimonianze. Una delle interpretazioni più recenti è quella che vuole che le storie sui draghi fossero solo delle testimonianze di ritrovamenti, avvenute nel passato da parte di contadini, di fossili di dinosauro. Una teoria non del tutto scartabile visto che spesso le regioni dei racconti sono le stesse dei luoghi dei ritrovamenti di fossili dei sauri del Mesozoico. Un'altra teoria che va per lo più è che si tratti di interpretazioni simboliche e archetipiche per simboleggiare la lotta del cristianesimo contro il paganesimo, visto come il male e rappresentato come un serpente alato, appunto un drago.
Eppure qualcosa di terribile doveva pur muoversi tra quelle rupi. Perché storie come queste non possono essere scartate subito adducendo a motivo delle fantasie popolane di villici che scambiavano per esseri viventi dei fossili pietrificati di dinosauri preistorici. Infatti, solo mantenendosi rigidi alle testimonianze si vede subito che esse non parlano di draghi nelle pietre o di scheletri di draghi ma di draghi che respiravano, si nutrivano, svernavano, volavano e che erano dotati di un immensa mole capaci anche di uccidere se disturbati.

Bibliografia

Kircher Athanasius - Mundus Subterraneus - Tomus II 

Pymm, R. (2016). “Serpent stones - myth and medical application". Geological Society, London, Special Publications.

Scheuchzer, Johann Jakob, 1672-1733 - Ouresiphoítes Helveticus, sive itinera per Helvetiæ alpinas Vol.

 Ignatius Schreiner . "Tractatus de animalibus subterraneis et  insectis"

Johannes Zahn. "Speculae Physico-Mathematico-Historica" Tomus II 

"Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii"